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In un mondo popolato da più di 8 miliardi di persone, ci si potrebbe aspettare che nessuno si senta solo. Eppure, la realtà è spesso diversa: ogni persona, pur condividendo con gli altri un’esperienza di vita simile, si trova spesso a fronteggiare la solitudine, una sensazione di isolamento che non risparmia nessuno. Essere umani, appartenere alla stessa specie, affrontare sfide simili – dalla pandemia di COVID-19 alla diffusione di ansia e depressione che affligge circa 300 milioni di persone – sembra non bastare a creare una rete di autentico sostegno reciproco.
La solitudine nasce e si amplifica per la mancanza di comprensione profonda tra le persone, che, pur vicine fisicamente, si trovano emotivamente distanti. La società spesso è disinteressata alle difficoltà individuali: chi soffre di depressione o ansia, chi vive problemi di salute fisica o mentale, viene lasciato solo, isolato dal resto della collettività, come se i suoi problemi non riguardassero gli altri. “Mi dispiace” è spesso l’unica risposta che riceve chi sta male, prima che ognuno riprenda la sua vita, indifferente ai drammi altrui. Questo è il paradosso di una società sovraffollata, ma priva di vera umanità.
Le persone affrontano anche l’isolamento sociale, emarginazione e stigmatizzazione. Chi soffre di problemi mentali spesso viene etichettato come “pazzo” e allontanato, vittima di discriminazione e bullismo, sia nella vita reale che online, dove il cyberbullismo amplifica la sofferenza. Coloro che cercano rifugio nell’uso di alcol, droghe, o psicofarmaci per alleviare il dolore emotivo, spesso si ritrovano ad aggiungere dipendenza e malattie ad una vita già complicata.
La realtà è che ogni persona, una volta venuta al mondo, percorre un cammino solitario, dall’infanzia fino alla vecchiaia. Le persone che godono di una buona salute spesso ignorano chi, limitato da una condizione di malattia o sofferenza, non ha le stesse possibilità di studiare, lavorare, o viaggiare. Così, chi sta bene prosegue nella propria vita, mentre chi è malato o sofferente rimane fermo, relegato ai margini della società, dimenticato, magari allettato/a in una casa o altri luoghi.
Questa DISUMANITÀ non è un fenomeno nuovo; è parte dell’umanità stessa.
Gesù, oltre 2000 anni fa, cercava di diffondere il messaggio di solidarietà e amore per il prossimo, ma, osservando il mondo moderno, ci si chiede se sia mai riuscito davvero nel suo intento. La storia ci insegna che l’umanità raramente cambia: ogni persona nasce, vive e muore da sola. Anche il ricordo di chi non c’è più svanisce velocemente, lasciando solo un segno passeggero. E così, la vita va avanti, senza troppi rimpianti, in un mondo che sembra essersi dimenticato cosa significa essere veramente umano.
Oggi, nel 2024, l’indifferenza sembra essere la regola, mentre chi soffre continua a soffrire, e chi sta bene continua a vivere e i morti sono dimenticati dopo poco tempo.
1 Comment
– Le persone sole, come isole emotivamente distanti, a volte potrebbero consolarsi come i “pomposi” Inglesi quando in caso di tempesta dicono : “Il continente e’ rimasto isolato”…
La società appare disumana a causa della frenetica vita quotidiana per la sopravvivenza (e per l’avidità), che non consente l’approfondimento della comprensione reciproca (perfino tra vicini di casa).
Per questo Gesù ha detto che ad ogni giorno basta la sua cura. Gesù, con la sua vita, è riuscito nel suo intento di mostrare la via di salvezza alle persone smarrite.
Commento di AURELIO ESPOSITO