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L’informazione è alla base del vivere sociale, ne costituisce l’impalpabile tessuto connettivo.
Infatti, un singolo individuo agisce solo in base alle proprie percezioni; le conseguenze delle sue scelte sono l’unica guida per il comportamento futuro.
Invece, per la vita sociale è necessaria la cooperazione che richiede un continuo scambio d’informazioni (per indirizzare l’agire del singolo in conformità con il fine comune prefisso).
Dunque la correttezza dell’informazione e’ una fondamentale necessità di una società.
Ecco il problema, quale garanzia si può avere per una corretta informazione?
Se la società è organizzata tramite rappresentanti con poteri decisionali, viene naturale attribuire la funzione di controllo a qualcuno di tali rappresentanti opportunamente istruiti.
Ma risulta ovvio che chi esercita un potere (di qualunque tipo) potrebbe gestire l’informazione (e dunque l’agire collettivo) manipolandola per fini dannosi.
Dunque un’autorità di garanzia per la pubblica informazione è certo necessaria ma non certo sufficiente (esclusiva).
Alla fine della storia (il percorso d’individuazione dei soggetti e delle modalità con cui gestire l’informazione) ci si rende conto che l’informazione deve essere comunque libera, anche in quanto parte integrante della libera espressione del pensiero e dunque della partecipazione.
In pratica, tutti hanno il diritto di parola a piacere ma come parere personale; cioè altro discorso e’ affermare la corrispondenza al vero dell’informazione per di più certificandola come stabilita per la direttiva nell’azione collettiva.
In sostanza, se si tratta di prendere ordini allora la fonte d’informazione deve essere in qualche modo certificata dallo Stato.
Pertanto, la logica impedisce l’esistenza di ogni censura ma impone la presenza di un’autorevole e nota fonte di riferimento (anche come persona fisica); autorevolezza che verrebbe minata a priori dall’esistenza della censura che adombrerebbe di dubbio la veridicità e la completezza dell’informazione presentata invece come garantita (nonché la buona fede di chi la garantisce).
Poi, “sentendo tutte le campane”, ognuno farà a modo suo (assumendosene le responsabilità).
in questo modo ci si libera dalle ingerenze dei vari poteri (politici, economici, tecnici, ecc.) e dalla necessità di controllo delle altre fonti d’informazione non garantite (con enorme risparmio di risorse, tempo e denaro).
Infine, la “privacy” ne risulta ridotta ai minimi termini in quanto l’esigenza prioritaria (per la corretta formazione dell’opinione pubblica) e’ la disponibilità dell’informazione di pubblico interesse.
Un’applicazione di questi principi secondo logica, come esempio pratico, dimostra la totale legittimità della libertà di vedere un vetro in qualunque modo colorato (a piacere); come ad esempio uno schermo (TV, computer, cellulare, ecc.).
Risultando evidente che l’interpretazione, la causa, le fonti, le motivazioni, le finalità e le conseguenze di tale visione vanno perseguite come fatti diversi dalla semplice visione (che, secondo logica, e’ stata appena dimostrata sempre lecita in nome della libertà personale).
In altre parole, se uno schermo (od altra fonte di stimoli visivi, come la carta stampata, anche interpretabili come informazione) finisce in “mani sbagliate” (come quelle dei minori) e’ una questione diversa (secondo logica).
Ovviamente diverso, quindi, e’ il caso per l’informazione (tra cui la visione) in pubblico od esposta al pubblico, che necessariamente deve seguire le regole di decoro imposte dalle autorità (per una questione di ordine sociale).
La retina dell’occhio umano è lo schermo colorato della terrena esistenza; per una vita a colori, nessuno ne deve poter condizionare l’illuminazione contro la volontà personale.
Pertanto sono da tenere d’occhio la digitalizzazione globale, l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale.
ARTCOLO DEL 25 OTTOBRE 2024
di AURELIO ESPOSITO